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Alternanza Scuola-Lavoro al Centro Donna

26 Giugno 2017

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Con grande piacere pubblichiamo i pensieri di Giada, Giorgia e Martina, tre giovani studentesse dei Licei Classici Tito Livio e Marchesi di Padova, sull'esperienza dell'Alternanza Scuola-Lavoro al Centro Veneto Progetti Donna. Grazie ragazze, ci mancherete! 

 

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Il Centro Veneto Progetti Donna di Padova è un centro antiviolenza che dal 1990 è attivo nella lotta contro la violenza (fisica e psicologica) che può avvenire all’interno o all’esterno del nucleo familiare. L’associazione si impegna ad accompagnare le donne durante il loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e a offrire loro ciò di cui hanno bisogno (una casa, un lavoro e soprattutto protezione). Questo è un percorso assai difficile ed estremamente complicato che le donne intraprendono e percorrono assieme a persone specializzate quali psicologhe, psicoterapeute, avvocate, assistenti sociali che si impegnano affinché le donne vittime di violenza siano tutelate attraverso consulenze legali, reinserimento sociale, orientamento al lavoro. Lavorano per dar loro tutta la protezione di cui hanno bisogno e l’aiuto che spesso è loro mancato. Il lavoro di queste donne è nobile e meritevole di grande ammirazione. 

Questo Centro rappresenta un porto sicuro per molte donne bisognose d’ aiuto e per i loro figli, anch’essi bisognosi di protezione. Tutto questo è portato avanti da operatrici e volontarie che ogni anno vedono il numero di richieste d’aiuto aumentare vorticosamente. In effetti, se si guarda alle statistiche, un ingente numero di donne ha subito violenza fisica o verbale almeno una volta nel corso della propria vita, in media una su tre. Ma la percentuale di donne che denuncia le violenze subite è assai minore (si stima che le donne che denuncino siano circa il 12%). Perché? Colpa della vergogna, dicono. Eppure perché la vergogna si appropria della vittima e non del violento?

Sfatiamo un mito: il violento non è né pazzo né folle. Chi compie queste azioni non è affetto da alcun disturbo psichiatrico ma è solamente un uomo che ha interiorizzato totalmente l’ideologia maschilista e patriarcale, mettendola poi in atto i raptus non esistono, la violenza è premeditata.
Il maschilismo che vige nella nostra società è testimoniato anche da questo: dalle continue attenuanti che si danno agli uomini maltrattanti per giustificare il loro gesto. “È pazzo”, “È stato un raptus”, ”È stata la gelosia”. Ogni volta che vi è un femminicidio, puntualmente saltano fuori queste frasi quasi a giustificare il delitto. Se una volta ogni tre giorni una donna uccidesse il proprio partner, sicuramente non si parlerebbe né di raptus né di gelosia ma di premeditazione. Le condanne sarebbero più dure e non ci sarebbe alcuno sconto.
Sfatiamone un altro: la violenza non è preclusa a nessuna. Essa si manifesta in qualsiasi contesto sociale, religioso ed economico. È la banalità del male.

Oltre alla violenza, il centro è impegnato anche nella lotta contro gli stereotipi di genere con un progetto che viene portato nelle classi di terza media e di prima e seconda superiore. Infatti è estremamente importante cambiare la cultura maschilista che ancora oggi imperversa nella nostra società attraverso mezzi diffusissimi ma pericolosissimi: gli stereotipi. Essi vengono spesso sottovalutati, invece sono mezzi di diffusione del sessismo molto potenti e radicalizzati. Essi infatti sono le fondamenta sulle quali sorgono la violenza, la disparità di reddito, ecc… spesso sono addirittura invisibili quindi è bene notarli ed eliminarli già da subito.

Il centro fa uno splendido lavoro, cercando di aiutare donne coraggiose che hanno detto basta alla violenza e aiutando tutti noi a liberarci dagli stereotipi. Ma hanno bisogno d’aiuto. In primis da parte dello Stato e da tutte le istituzioni statali, i quali dovrebbero:

  • Garantire fondi sufficienti per i centri antiviolenza;
  • Impedire la chiusura dei centri;
  • Completare subito la mappatura dei centri per evitare che i finanziamenti vadano a strutture improvvisate;
  • Stabilire procedure e sentenze pesanti per chi commette violenze;
  • Educare al rispetto e all’eliminazione degli stereotipi di genere.

Per quanto riguarda i fondi, basti pensare che dei 16 milioni 400 mila euro stanziati per il piano antiviolenza nel 2013/14 solo 6 milioni e mezzo sono arrivati alle case rifugio. 

I tribunali invece dovrebbero garantire punizioni adeguate per chi commette violenza, senza sconti o attenuanti. In Italia purtroppo la giustizia non funziona, come dimostra il recente caso di una donna che nonostante avesse denunciato numerosissime volte l’ex marito e nonostante l’intervento delle forze armate e del tribunale, questo continuava a minacciare la ex moglie tanto da andare nel bar dove lavorava armato di pistola. Per fortuna quest’ultima si è inceppata. 

Sul capitolo scuola ci sarebbe da parlare per settimane. La scuola (materna e primaria) è fondamentale per un individuo, è il luogo in cui inizia la formazione, si viene a contatto con altre persone con storie, realtà ed esperienze differenti dalle nostre. E per la prima volta, attraverso il confronto con individui del sesso opposto, vengono messe in evidenza le differenze e gli stereotipi iniziano a fissarsi nella mente dei bambini. Una volta cresciuti, gli stereotipi saranno ben radicati. Per questo è importantissimo educarli al rispetto delle differenze fin da subito. 

Le istituzioni hanno sicuramente un gran peso, ma anche noi dobbiamo mobilitarci per fare qualcosa. Così come dobbiamo partire dall’abbattimento degli stereotipi per sconfiggere la violenza, allo stesso modo dobbiamo partire da noi stessi per cambiare la società.

Giada Danieli

 

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“Le urla delle donne di Juàrez sono silenziose perché nessuno le ascolterà. Non le grandi imprese che maturano profitti grazie al lavoro di queste donne. Non i governi del Messico e degli Stati Uniti che beneficiano degli accordi di libero scambio. Nessuno le ascolterà. Tutte le prove indicano che ci sono più assassini. Una folle cultura dell’omicidio che diventa sempre più estrema quanto più viene negata e nascosta. D’altra parte il nascondere è meno costoso del dover proteggere queste donne. L’unica cosa che conta è il profitto.

E così il bilancio delle vittime cresce. Eva Jimenez, 16 anni compiuti, lavora in una maquiladora, assembla televisori. Guadagna 5 dollari al giorno.” (Bordertown, regia di Gregory Nava)

Ciudad Juàrez, Messico. A partire dal 1993 centinaia di donne vengono rapite, stuprate e uccise con totale impunità per gli assassini. E’ proprio nella così detta “città del male” che, per la prima volta nel 2009, l’artista messicana Elina Chauvet ha denunciato il fenomeno del femminicidio, attraverso un’ invasione di calzature rosse.

Scarpe rosse, da sempre il simbolo di una gioiosa femminilità, che ogni donna ha il diritto di esprimere e che invece più spesso e senza ritegno si sceglie di uccidere; scarpe rosse, strappate dal piede di chi avrebbe potuto portarle e che invece è stata uccisa; scarpe rosse che con la loro vuotezza urlano tutto lo strazio, la vergogna, la paura e la condanna di chi non può e non vuole far finta di non vedere.

Ylenia, 22 anni, bruciata viva dal fidanzato. Lei continua a difenderlo.

Melania, mamma e casalinga, uccisa con 30 coltellate dal marito.

Roberta, 44 anni, madre di 2 figli, scomparsa da ormai 5 anni. Il marito è stato condannato a 20 anni. Il corpo della donna non è ancora stato ritrovato.

Dal 2006 al 2016 le donne uccise in Italia sono state 1.740 e di queste 1.251 (il 71,9%) in famiglia.

I dati parlano e continuano a farlo. Perché? Dove sono le soluzioni? Dov’è la prevenzione? Dov’è il senso di umanità, il così detto “Agàpe” del filosofo S. Agostino, quel sentimento di compassione, disinteressato e fraterno, che dovrebbe unire gli uomini? Si trovano sicuramente all’interno dei centri antiviolenza, luoghi in cui le donne ricevono protezione e sostegno e nelle case di fuga dove le donne e i loro figli  beneficiano di un luogo sicuro, protetto e accogliente dove intraprendere un cammino d’uscita dalla violenza. 

Grazie all’accoglienza telefonica, ai colloqui personali, all’ospitalità in case rifugio e ai numerosi altri servizi offerti, le donne sono coadiuvate nel loro percorso di “rinascita”. Auto- aiuto, auto- determinazione, empowerment sono le parole- chiave che ogni donna maltrattata impara. La donna comincia a credere in se stessa, si riappropria della sua vita e di tutte le risorse che la rendono indipendente dal controllo del partner. Si rafforza, riacquista energia personale, emotiva e psicologica per ripartire e cambiare.

I dati parlano e continuano a farlo. Forse perché oggi la violenza è all’ordine del giorno. Cartoni animati che inneggiano all’odio; film dove il sangue, la morte, l’orrore sono gli ingredienti necessari per attrarre un grande pubblico; programmi televisivi in onda su rete nazionale e spot pubblicitari che propongono un’idea di donna perfetta, tale da risultare finta, una donna oggetto, succube dell’uomo, una donna semi- nuda, capace di colpire solo se si sveste. D’altra parte ciò che conta è l’audience. E così continuiamo a vivere nell’ignoranza, convinti che una donna vale se è bella, alta e magra. Ciò che è dentro non importa. 

Viviamo da troppo tempo in una società patriarcale e maschilista. Una società che porta l’uomo a considerarsi superiore e vincente (retaggio forse del Paleolitico), a vedere la rabbia, la forza, la violenza come strumenti per rafforzare la propria autostima, quando in realtà mettono ancor più a nudo l’insicurezza e la fragilità di fondo. 

Abbiamo bisogno di una rieducazione alla non- violenza, al rispetto di noi stessi e degli altri e di maturare una capacità di vivere le differenze di genere, razza, lingua e religione come una ricchezza e non come un limite.

Un dato incoraggiante in tal senso è dato dall’aumento delle richieste di aiuto da parte di uomini violenti. Presso il Cam di Firenze, Centro Ascolto Uomini Maltrattanti, si è avuto un incremento rilevante di richieste di aiuto (da 9 nel 2009 a 85 nel 2015). Nel 2016, solo nei primi nove mesi dell’anno, i casi erano 66.

Certo è che l’inconsapevolezza del male che si causa è ancora molta: uno schiaffo è violenza fisica, l’umiliazione e gli insulti sono violenza psicologica, la costrizione al rapporto sessuale è violenza sessuale, la privazione di ogni tipo di risorsa per la donna è violenza economica. Tutto questo per “troppo amore”, dicono.  Di certo non è amore: uomini, vinti da sentimenti di odio e rabbia, spesso conseguenza della loro infanzia e del contesto socio- familiare in cui sono vissuti, sono responsabili di tali atrocità.

La violenza è infima perché la donna si isola, non si apprezza e non si ama, si considera colpevole  e non vittima del fallimento della sua relazione. Nessuno la vede. E’ sola, ma è l’unica in grado di salvarsi. Uscire dal vortice della violenza è un percorso lungo e complesso, ma ancor prima è fondamentale esserne consapevoli.  

“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subìto, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l'ignoranza in cui l'avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna” scrive Shakespeare.

Giorgia Anzanello

 

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“Chi è la persona più importante della tua vita?” mi chiedono. Inizialmente turbata sto zitta, ma mi stupisce la mia risposta così decisa dopo qualche secondo.. “io” 

È forse un pensiero egoistico? Certo, come ogni pensiero umano, e non c’è nulla di male. Almeno per me.

L’idea di essere veramente padrona di me stessa, dare solo a me l’importanza di cui ho bisogno e non dipendere da nessun altro mi fa sentire serena finalmente. E libera.

Ma è un pensiero così lontano, perché la mia realtà è sempre distante da ciò che dovrei e vorrei.

Davvero io mi sono fatta ingannare? 

Non so più nemmeno se sia o no un inganno, lascio passare il tempo, vado avanti negando ogni minima cosa. Io credo in lui, credo in noi, ma sono anche consapevole che se non si cambia il presente non sarà meglio il futuro.

Attimi di lucidità si alternano a nebbie continue prive di ogni possibilità di vento. 

Così mi ritrovo a chiedere aiuto, o forse solo sostegno, perché non so più quello che faccio e sopporto in nome di un amore che non dà nulla, se non tristezza e rancore.

Non voglio vederla come umiliazione, ma come semplice errore. 

Se si cade in corsa non è facile rialzarsi, ma possibile; se si cade continuamente in una corsa che ostacola ogni tuo passo ci si deve rialzare e cambiare campo.

Il Centro a cui mi sono rivolta ha dato forza al vento che ora soffia qui da me.

Io sono sempre stata libera, io sono libertà.

Firmato: Donna

 

Le notizie al telegiornale, gli articoli su Internet, amici e amiche, conoscenti … l’eco della parola “violenza” risuona ovunque molte volte senza trovare veri riscontri.

Un aiuto è necessario, il Centro Veneto Progetti Donna è un esempio di solidarietà e appoggio per tutte coloro che si trovano in qualsiasi situazione di violenza, attraverso princìpi di uguaglianza e imparzialità, professionalità, gratuità, accessibilità, trasparenza e riservatezza.

Si parla di un’associazione volontaria (ONLUS) che offre sostegno a donne, italiane e straniere, in difficoltà e coinvolte in situazioni di violenza, maltrattamento familiare e non.

Inoltre il suo lavoro è in rete: crea legami con servizi sociali, pronto soccorso, polizia ed altri enti specializzati, offre case di fuga, protezione e sostegno psicologico. Basta una chiamata, un’email o un contatto via social network per qualsiasi bisogno a riguardo.

Non bisogna esitare a richiedere aiuto e a farsi sentire, l’opportunità di risoluzione è sempre disponibile, sta a noi scegliere.

Martina Naso