New York, Medusa con la testa di Perseo: la statua simbolo del #MeToo
Dal 13 ottobre 2020, al Collect Pond Park di New York, è esposta la scultura di bronzo Medusa con la testa di Perseo dell’artista italo-argentino Luciano Garbati. L’opera che raffigura Medusa mentre tiene tra le mani la testa mozzata di Perseo, è un capovolgimento della statua di Benvenuto Cellini Perseo con la testa di Medusa esposta in piazza della Signoria a Firenze.
L’esposizione ha velocemente acquisito notorietà perché il parco in cui l’opera è stata collocata si trova proprio davanti al tribunale di New York in cui Harvey Weinstein è stato condannato per stupro. Questo fatto ha reso la statua oggetto di un grande dibattito pubblico.
L’opera artistica è una rivisitazione dell’antico mito greco di Perseo e Medusa. Secondo la storica narrazione Medusa, la sola mortale tra le Gorgoni, era una fanciulla di straordinaria bellezza che fu amata dal dio Poseidone. I due innamorati tuttavia, in modo molto incauto, si incontrarono nel tempio della dea Atena ed essa furiosa per la profanazione della sua casa, decise di punire Medusa trasformandola in un mostro con i capelli di serpente e uno sguardo capace di pietrificare chiunque la guardasse. Da quel momento Medusa, scacciata da tutti, viene emarginata e temuta fino a quando l’eroe Perseo riesce a decapitarla con uno stratagemma.
Nel corso della storia il personaggio della Medusa è stato analizzato ed interpretato da molti e di volta in volta, i diversi artisti, filosofi, pensatori, hanno evidenziato sfaccettature diverse del mito e della personalità della Gorgone. Il fascino di questa figura mitologica sembra intramontabile, in passato la sua raffigurazione prevalente, utilizzata anche da artisti come Cellini e Caravaggio, era quella di terribile mostro, ma tale visione si è modificata negli anni.
Nel 1975 ad esempio, la scrittrice femminista Hélène Cixousscrisse, nel The Laugh of the Medusa, che “se questi uomini avessero avuto il coraggio di guardare Medusa dritto negli occhi, si sarebbero accorti che non ha nulla di letale, ma anzi è bellissima e ride”. Secondo l’autrice sono stati proprio gli uomini, terrorizzati dal femminile, a creare questo mostro dai capelli di serpenti e lo sguardo pietrificante.
Questa visione interpretativa si è evoluta ancora e da un po' di tempo, anche grazie l’influenza del movimento #MeToo, il mito è stato rivisto e reinterpretato in chiave più ampiamente femminista. Secondo questa visione la giovane Medusa è stata in realtà una vittima di uno stupro e di victim-blaming. La “colpevolizzazione della vittima” è il fenomeno per cui la vittima di un reato viene ritenuta totalmente o in parte colpevole per il danno che le è stato inflitto, spesso questa accusa è associata ai casi di stupro.
L’opera di Garbati è stata realizzata nel 2008 e dal 2018 fa parte del Medusa With The Head project - MWTH - un'iniziativa di reinvenzione dei miti classici elaborata dall’artista Bek Andersen. Questo progetto ha come obiettivo quello di rivisitare il mito e dare a Medusa la sua rivincita su Perseo e sulla società patriarcale.
Tuttavia, dal momento della sua esposizione all’inizio del mese, l’opera è stata molto criticata. Alcune delle critiche mosse riguardano il fatto che per rappresentare il movimento MeToo sia stato scelto non solo il lavoro di un artista uomo, ma anche un soggetto “europeo”, mentre il movimento è nato da Tarana Burke, un’attivista americana nera. L’altra critica mossa riguarda l’aspetto della statua, secondo i suoi detrattori infatti, Medusa è raffigurata con un corpo perfetto e senza peli, in modo davvero poco realistico.
Inoltre, alcune persone ritengono che questa immagine di Medusa possa recare più svantaggi che vantaggi alla causa del MeToo, poiché sostiene l’argomento di chi vede queste donne come sanguinarie e vendicative.
In conclusione riportiamo le parole della giornalista Silvia Bottani che a commento di quest’opera scrive “considerando secoli e secoli di storia dell’arte, dovremmo avere ormai dato per assodato il fatto che l’arte non offra risposte, non sia uno slogan pubblicitario, non affermi proclami né verità assolute. Ridurla a commento del contemporaneo è un fallimento che produce opere inerti, destinate a invecchiare con la stessa velocità con cui invecchia un quotidiano. […] Tradire le storie, rielaborarle, riscriverle è un processo straordinariamente fertile, ma per farlo non si può abdicare al problema della forma, accontentandosi di riempire di significato ciò che di significato è privo in origine, altrimenti si opera in una logica di meme, non di arte. Fanno bene le donne a esigere monumenti che ne celebrino la storia e le artiste a rivendicare lo spazio che meritano. Credo però che il movimento femminista e le donne tutte – e anche la loro legittima rabbia – meritino di essere rappresentate attraverso forme intelligenti, complesse e problematiche, non accontentandosi di innocui soprammobili scambiati per opere d’arte, in virtù di un malinteso ideologico.”